Unterwegs

In cammino

Aglaja Veteranyi, La fuga

Posted by Anna Maria Curci su febbraio 3, 2018

16 anni fa, il 3 febbraio 2002, Aglaja Veteranyi, nata nel 1962, decise di porre fine alla sua vita. Avevo avuto modo di vederla una volta, in Svizzera, a Lucerna, nel corso di una delle sue Lesungen che organizzava quasi come fossero esibizioni circensi. Una poesia funambola senza rete, per dirla con le parole di Mascha Kaléko. Una scrittura, anche nella prosa – penso al romanzo Warum das Kind in der Polenta kocht – accompagnata dallo sguardo spalancato e stupito e ferito di due occhi grandi, chiari, indicibilmente belli. Allorché nel dicembre 2002, nel castello svevo di Trani, in occasione del convegno In medias res organizzato da Lend Bari (5-7 dicembre), scelsi di parlare di Migrantenliteratur. Premio Adelbert von Chamisso e dintorni, decisi di leggere, tra l’altro, questa mia traduzione della poesia Die Flucht di Aglaja Veteranyi. Come testimonia il testo  pubblicato nel numero di “Frontiere” del giugno 2003 (Anno IV, n. 7), fu con le parole dello scrittore svizzero Peter Bichsel, con la sua lettera d’addio all’amica Aglaja, che conclusi l’intervento. Con commozione riporto, a sedici anni dalla morte di Aglaja Veteranyi, la sua poesia, il suo lascito a Peter Bichsel e la lettera che questi scrisse dopo la morte di lei, qui, su “Unterwegs/In cammino”.

 

La fuga

La bambina mette la bambola nella valigia.
La madre mette la bambina nella valigia
Il padre mette madre e casa nella valigia

Il paese straniero mette il padre con valigia nella valigia.

Rispedisce tutto indietro

Si nascondono nel bosco:


1 bambola

1 bambina
1 madre
1 padre
1 casa
2 valigie
1 fuga

Aglaja Veteranyi

(traduzione di Anna Maria Curci)

 

Die Flucht

Das Kind packt die Puppe in den Koffer.
Die Mutter packt das Kind in den Koffer.
Der Vater packt Mutter und Haus in den Koffer.

Das Ausland packt Vater mit Koffer in den Koffer.

Schickt alles zurück.

Es verstecken sich im Wald:


1 Puppe

1 Kind
1 Mutter
1 Vater
1 Haus
2 Koffer
1 Flucht

Aglaja Veteranyi

(il testo si può leggere oggi nella raccolta di testi apparsa postuma nel 2004: Aglaja Veteranyi, Vom geräumten Meer, den gemieten Socken und Frau Butter, dva, München, p. 49)

Al mio funerale vorrei che Peter Bichsel mi raccontasse delle storie, a me e a tutti quelli che ci saranno. E al buon Dio. E alla tristezza, E al clown. E al desiderio insaziabile. E all’amore. E al vino rosso che bevo con lui.

Aglaja Veteranyi

(traduzione di Anna Maria Curci)

Ich möchte, dass mir Peter Bichsel an meiner Beerdigung Geschichten erzählt, mir und den Anwesenden. Und dem lieben Gott. Und der Traurigkeit. Und dem Clown. Und der Sehnsucht. Und der Liebe. Und dem Rotwein, den ich mit ihm trinke.

Aglaja Veteranyi

(da uno dei suoi ‘testamenti’)

Cara Aglaja,

lo sai – lo sapevi -, raccontare ha sempre a che fare con il non saper raccontare. «Su, raccontami qualcosa, raccontami qualcosa – di’ qualcosa in francese.»

Raccontare è quel “qualcosa” – niente di particolare, ma “una cosa qualunque”. È quel qualcosa, una cosa qualunque che non vuole mai venirci in mente, la situazione allucinante del ragazzino innamorato alla sua prima passeggiata con l’amata. Dire qualcosa, adesso, una cosa qualunque – non importa quale, raccontare una cosa qualunque. La ricerca di quel qualcosa può non riuscire. Lo hai detto tu stessa: «Chi trova, non ha cercato nel modo giusto.» – Chi trova la morte? – Chi trova, non ha cercato nel modo giusto.»

È un po’ ciò che volevo dirti quando ti ho detto, una volta:«Chi ha scritto un libro del genere non può scriverne un secondo». Questa frase è la prima cosa che mi è venuta in mente quando sono venuto a sapere della tua disgrazia. Questa frase grava pesantemente su di me. All’epoca, la reputavo un complimento. La reputavo una consolazione. Scrivere ha a che fare con l’incapacità di scrivere, alla ricerca di quel qualcosa. Noi abbiamo a che fare non con il saper fare, bensì con il non saper fare, con il continuo fallire – una professione dannatamente pericolosa. Non può essere paragonata a quella della funambola, perché quella vive di ciò che sa fare.

 «Su, raccontami qualcosa», mi sembro come quel ragazzino a spasso. No, Aglaja, adesso non mi viene in mente nulla. Mi sentirei stupido, se adesso mi venisse in mente qualcosa.

Ma più tardi, sì, più tardi, con il vino rosso, sì.

Peter Bichsel

(traduzione di Anna Maria Curci)

Liebe Aglaja,

Du weisst es – Du wusstest es -, erzählen hat immer wieder mit dem Nicht-erzählen-Können zu tun. «Erzähl mir doch was, erzähl mir doch was – sag mal etwas auf Französisch.»

Erzählen ist das Irgendetwas – nicht das Besondere, sondern das Irgendetwas. Jenes Irgendetwas, das uns nie einfallen will. Die grauenhafte Situation des verliebten Jünglings auf dem ersten Spaziergang mit seiner Geliebten. Jetzt etwas sagen, irgendetwas sagen – irgendetwas, irgendetwas erzählen. Die Suche nach dem Irgendetwas kann nicht gelingen. Du hast es selber gesagt: «Wer findet, hat nicht richtig gesucht.» – Wer den Tod findet? – «Wer findet, hat nicht richtig gesucht.»

So etwas meinte ich, als ich einmal zu Dir gesagt habe: «Wer ein solches Buch geschrieben hat, kann kein zweites schreiben.» Der Satz fiel mir als Erstes ein, als ich von Deinem Unglück hörte. Der Satz lastet schwer auf mir. Ich meinte ihn damals als Kompliment. Ich meinte ihn als Trost. Schreiben hat mit dem Nicht-schreiben- Können zu tun – auf der Suche nach dem Irgendetwas. Wir haben nicht mit dem Können zu tun, sondern mit dem Nichtkönnen, mit dem dauernden Scheitern – ein verdammt gefährlicher Beruf. Nicht zu vergleichen mit der Seiltänzerin, denn jene lebt davon, dass sie’s kann.

«Erzähl mir doch was», ich komme mir vor wie der spazierende Jüngling. Nein, Aglaja, mir fällt jetzt nichts ein. Ich käme mir blöd vor, wenn mir jetzt etwas einfallen würde.

Aber hinterher schon, hinterher beim Rotwein schon.

Peter Bichsel

(lettera d’addio a Aglaja Veteranyi, pubblicata sulla Neue Zürcher Zeitung)

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9 Risposte a “Aglaja Veteranyi, La fuga”

  1. L’ha ribloggato su trattiessenziali.

  2. giadep said

    GRAZIE Anna Maria. Grazie davvero tanto. Giampaolo

  3. Grazie di cuore, Anna Maria. La narrazione è l’atto d’amore senza tempo, tu oggi qui li attraversi, tempo e amore, storia nella storia, valigia nella valigia. Te ne sono riconoscente.
    Patrizia

  4. almerighi said

    me la rubo, nella tua traduzione

  5. […] di Aglaja Veteranyi, qui: https://ws081amcu.wordpress.com/2018/02/03/aglaja-veteranyi-la-fuga/ […]

  6. […] https://biancabiblog.wordpress.com/2018/11/21/sai-di-pietra-e-di-papavero/ https://ws081amcu.wordpress.com/2018/02/03/aglaja-veteranyi-la-fuga/ %5B…%5D […]

  7. Torno a commentare per soffermarmi, questa volta, sulle parole: «Chi trova, non ha cercato nel modo giusto.». Rifletto su quante volte, senza trovare voce, ci abita l’inquietudine al cospetto di ciò che ci viene incontro con troppa facilità, di ciò che velocemente sazia e intanto affama: avvertiamo quel vuoto senza riconoscerne la natura. E rifletto su quanto il nostro “trovare” gli appaganti “bocconcini delicati” dovrebbe metterci in allarme, invitarci ad affondare di più il morso, magari altrove.
    Ti abbraccio, ti rinnovo la mia gratitudine
    Patrizia

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