Imbatti. Tre: Malina
La terza fu la volta di Malina.
Nelle cocche portava del grembiule
una scorta di ortiche, unico scampo
suo alla torre di fame settennale.
Sul dorso aveva appesa una lanterna.
«Faccio luce, esordì, a chi ha per bussola
il sembiante eppur pretende di distinguere
il vero. Anche l’amato volli aiutare e ancora
s’avverte il tocco a vuoto degli indizi sparsi
mai raccolti. Muto l’accento a volte, mi trasformo
in pedone, nascondo la lanterna sotto il manto,
dalla scacchiera ammicco placida in incognito.
Anna Maria Curci
7 aprile 2010
Poi nella sezione Imbatti: incontri veramente fortuiti? in Inciampi e marcapiano, LietoColle 2011
Ripercorro questi versi di dieci anni fa e mi chiedo se questo tempo che viviamo sia davvero un tempo sospeso, un tempo in apnea. Davvero vogliamo liquidarlo con formule di rito, tanto sbrigative quanto frettolose di liquidare, di archiviare, di scansare?
Come nella fiaba di Malvina/Malina può capitare di non essere riconosciuti, ma se ognuno di noi aspetta di specchiarsi nell’io smarrito dell’altro per riconoscersi, se ciascuno di noi è contemporaneamente Malvina, l’amata trasfigurata e resa irriconoscibile dagli stenti e dalle lunghe prove, e il principe, accecato dall’abbaglio del superficiale, allora chi o che cosa spezzerà l’incantesimo?